martedì 20 maggio 2008

L'INSMLI e la "storia di Scalfaro": una polemica con "Libero"

Nei giorni scorsi il quotidiano "Libero" ha pubblicato un articolo di violenta critica nei confronti dell'attività e della natura dell'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento in Italia e - in generale - della rete degli Istituti Storici della Resistenza. La risposta dell'INSMLI è giunta tempestivamente sotto forma di lettera firmata dal vicepresidente ed al direttore scientifico; non risulta peraltro che finora essa sia stata pubblicata.
Lasciando a chi legge ogni considerazione sulla vicenda, mettiamo a disposizione la documentazione, ovvero:
- l'articolo di Ugo Finetti su "Libero" del 15 maggio 2008 (fonte: rassegna stampa del Governo italiano);
- la risposta dell'INSMLI, dal portale dell'Istituto

Sulla vicenda ha preso posizione il movimento Libertà e Giustizia, con un appello a Veltroni. Non essendo riuscetti a reperirlo nel sito web di LeG, segnaliamo che è possibile leggerlo nel sito del Circolo GL di Sassari.

E' persino superfluo aggiungere che al Presidente dell'INSMLI, senatore Oscar Luigi Scalfaro, va tutta la nostra affettuosa solidarietà.



MODESTA PROPOSTA AL MINISTRO
BOCCIAMO LA STORIA DI SCALFARO
Da "LIBERO - EDIZIONE MILANO" di giovedì 15 maggio 2008

Lettera aperta a Mariastella Gelmini Modesta proposta al ministro Bocciamo la storia di Scalfano
L`istituto presieduto dall`ex capo dello Stato è diventato il principale strumento di formazione dei docenti per il `900. A nostre spese
UGO FINETTI

Nel saggio introduttivo dell`ultimo volume della collana dell`Istituto nazionale perla storia del movimento di liberazione in Italia - "Storia d`Italia nel secolo ventesimo" - si può leggere, dopo una premessa sulle «minacce alla democrazia dei governi Berlusconi», che l`espressione «ragazzi di Salò» rispecchia «una campagna senza precedenti contro la storiografia dell`antifascismo e della Resistenza» conseguenza della «partecipazione di Alleanza nazionale e della Lega ai governi Berlusconi (1994-1996, 20012006)».
In verità il «ragazzi di Salò» fu pronunciato da Luciano Violante nell`aula di Montecitorio quando venne eletto presidente della Camera proprio all`indomani della sconfitta di Berlusconi nelle elezioni del 1996. Confondere Violante con Berlusconi e attribuire all`espressione usata dal parlamentare postcomunista un valore di "revisionismo" neofascista sarebbe segno solo di fazio sità e di ignoranza. Purtroppo questo scritto è uno dei tanti "testi sacri" sfornato dall`lnsmli, oggi presieduto da Oscar Luigi Scalfaro, che è diventato in questi anni il principale strumento - su mandato e a spese del governo - di insegnamento e di formazione dei do centi per la storia del Novecento nelle scuole italiane.
Accademia militante Accusare gli storici che non si sono schierati a sostegno dei governi di sinistra - da Renzo De Fe- lice a Ernesto Galli della Loggia di aver scritto negli anni Novanta al fine di «legittimare . partiti politici di destra» e definire «le pagine del Corriere (della Sera), verafucina dell`ideologia revisionista» è il linguaggio di questa accademia militante. Siamo di fr onte a tesi e idee che certamente nessuno pensa di ostacolare o censurare.
Si tratta però di stabili re se alivello di insegnamento statale esse debbano essere imposte come "pensiero unico" e non sia invece possibile ripristinare un minimo di contraddittorio o comunque di pluralismo nel panorama di ciò che viene finanziato a spese del contribuente.
Il problema è appunto questo:
il colpo di mano con cui i postcomunisti hanno imposto il finanziamento ed il controllo della formazione e della didattica da parte di un centro di potere di ex partigiani, dirigenti politici ed una particolare cordata accademica come l`Insmli. In concreto: perché debbono essere automaticamente rinnovate - "a fari spenti" - le Convenzioni inventate dai postcomunisti approfittando del controllo del ministero dell`Istruzione per monopolizzare e strumentalizzare l`insegnamento della storia nazionale mettendolo nelle mani di un`associazione estremamente politicizzata e faziosa? Creato nel 1949 per iniziativa dell`Anpi e del Pci,1`Insmli ha alternato crescita e crisi nel corso dei decenni. Venendo meno l`Unione Sovietica e scioltosi il Pci ha rischiato la chiusura per il forte indebitamento nel 1992-94. Fu salvato da WalterVeltroni che, come ministro dei Beni culturali, nel 1996-97 coprì il disavanzo usando i fondi dell`otto per mille e quindi mettendo a carico di un ente pubblico buona parte del personale. Contemporaneamente l`Insmli è diventato il "braccio armato" per il controllo della didattica e della formazione degli insegnanti attraverso apposite Convenzioni stipulate nel 1996 e nel 1999. L`intero insegnamento del Novecento è stato così delegato dal Ministero a questo ente peraltro specializzatosi solo su 18 mesi del secolo.
Siamo di fronte ad un`operazione che da un lato ha espulso - o ridotta a una presenza marginale - la lettura non classista del Novecento (come scontro tra capitalismo reazionario e avanguardia comunista della classe operaia) e dall`altro usa la categoria dell`antifascismo, indipendentemente dall`esistenza del fascismo, per continuare a mitizzare o demonizzare fatti, movimenti e personalità in riferimento all`attualità a fini politici ed elettorali immediati evocando il fantasma di Salò (quando non la Shoah) contro tutto ciò che negli ultimi sessant`anni ha avversato il comunismo.
I;ulgata alla Sordi È così che nelle aule scolastiche e accademiche e nella manualistica più diffusa quando si tratta della Resistenza si diffondono luoghi comuni che risalgono agli storici comunisti degli anni Cinquanta.
Gli studenti non sanno che la Resistenza è nata nel settembre del`43 negli scontri armati tra i militari itali ani e i tedeschi, ma credono che sia stata fatta quasi esclusivamente dai comunisti;
non conoscono i nomi diAlfredo Pizzoni e del generale Raffaele Cadorna che sono stati alla guida del Cln dell`Alta Italia e del Comando unificato delle brigate partigiane, ma sono convinti che i militari italiani siano stati tanti Alberto Sordi del film "Tutti a casa" in fuga. In realtà 35.000 soldati sono morti combattendo contro Hitler e Mussolini (in numero superiore ai partigiani) e ben 600.000 di loro finirono in campi di concentramento tedeschi per il rifiuto di aderire alla Repubblica di Salò e in 78.000 vi lasciarono la vita.
Se Palmiro Togliatti nel 1945 esaltava il ruolo degli Alleati («Ricorderemo in eterno i soldati e gli ufficiali inglesi, degli Stati Uniti, della Francia, dell`Africa del sud, dell`Australia, del Brasile, i quali hanno lasciato la loro vita o versato il sangue loro per la liberazione del suolo della nostra patria. Il loro nome vivrà nel cuore del nostro popolo»), oggi la Resistenza è invece usata da storici dell`Insmli per alimentare l`antiamericanismo come se fosse stata ostacolata dagli anglo-americani. I più autorevoli storici dell`Insmli (come Claudio Pavone) nelle loro storie della Resistenza ignorano Cefalonia e, soprattutto, confondono la lotta di liberazione nazionale con la "resistenza parallela" del Pci a cui sono legate le stragi di Porzus, le foibe e i massacri di antifascisti da parte comunista durante e do- po la guerra partigiana.
È forse il caso, con l`arrivo al ministero dell`Istruzione di Ma- riastella Gelmini, di prevedere una pausa di riflessione e provvedere a un bilancio alla luce del so - le circa l`applicazione di queste Convenzioni tra ministero dell`Istruzione e Insmli evitando una sorta di "nazionalizzazione" della storiografia italiana e che le cattedre siano usate come megafoni di propaganda di partito.



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La risposta del'INSMLI

Milano, 16 maggio 2008

Gent.mo signor
Dr Vittorio Feltri
Direttore di “Libero”
Sua Sede

Gentile Direttore,
Leggiamo sul numero del Suo giornale apparso ieri in edicola una lunga “lettera aperta”, a firma di Ugo Finetti, riguardante l’Istituto nazionale per la Storia del Movimento di liberazione in Italia, e pensiamo sia nostro dovere, sia verso i nostri collaboratori sia verso i Suoi lettori, rispondere tempestivamente. Né ci dorremo oltre misura del malizioso titolo redazionale, anche se dovremo contestarne nel merito qualche implicazione. Ci permettiamo tuttavia di notare che il suo tono non corrisponde alla costante attenzione, discrezione e cortesia con cui l’Istituto nazionale ha accolto, e continuerà ad accogliere, le richieste d’informazione e di aiuto provenienti dai giornalisti di Milano, compresi i collaboratori di “Libero”.

Procedendo per punti, è forse giusto far sapere prima di tutto ai lettori che il volume della nostra collana, dalla cui introduzione sono tratti i cenni relativi ai governi Berlusconi che dispiacciono a Ugo Finetti, non è un pamphlet politico, ma una ponderosa, perfino seriosa raccolta di scritti di sette autori tutti stranieri – inglesi, americani, australiani, un tedesco, docenti di università degli Stati Uniti, d’Australia e d’Italia – che raccomandiamo vivamente a tutti gli studenti e gli studiosi. Coordinata dal prof. Stuart J. Woolf, autore del passo in discussione, l’opera s’intitola L’Italia repubblicana vista da fuori (1945-2000). Va da sé che, una volta ottenuta la collaborazione di firme così autorevoli, si è lasciata loro l’autonomia più incondizionata nel formulare i loro giudizi. Conoscere come gli altri ci vedono e giudicano è infatti, dal punto di vista scientifico, che il nostro Istituto ha fatto proprio nel proporre questa raccolta di saggi, molto più importante che selezionare tra i giudizi stranieri quelli che ci piacciono o che, semplicemente, possono evitarci noie.

Ugo Finetti trae tuttavia spunto da questa citazione incidentale per ricostruire polemicamente la storia antica e recente del nostro Istituto. Osservazioni alle quali, per l’aspetto monetario, ci è agevole rispondere senza tediare troppo i lettori di “Libero”, perché l’Istituto nazionale, da sempre, è sottoposto al controllo della Corte dei Conti, che fa puntualissimi rilievi sulla sua gestione amministrativa. In generale possiamo dire, con motivato orgoglio, che dopo quasi sessant’anni di attività, l’Istituto ha conquistato tale fiducia presso i sostenitori finanziari pubblici e privati, che anche nei momenti di difficoltà essi hanno appoggiato la nostra attività. Né solo lo Stato, né soltanto amministrazioni di “sinistra”, compaiono tra questi sostenitori, e l’occasione ci è grata per esprimere, ad esempio, alla Regione Lombardia e al Comune di Milano, un pubblico riconoscimento per quanto hanno fatto per noi.

Sugli aspetti culturali e politici della storia dell’Istituto, gli errori di Finetti sono poi molti e poco scusabili. Per cominciare, né l’ANPI né il Partito comunista hanno avuto alcun ruolo significativo nella fondazione. L’Istituto nazionale sorse infatti nel 1949 come federazione dei tre Istituti di Milano, Genova e Torino. Il primo impulso era partito da Torino, da personalità culturali provenienti soprattutto dal Partito d’Azione, e rispondeva all’esigenza fortemente sentita di raccogliere e conservare la documentazione della Resistenza. Fu particolarmente Alessandro Galante Garrone, che trovò attento ascolto presso gli amministratori degli archivi pubblici, allora affidati al Ministero dell’Interno, quello che condusse a termine, con l’allora sottosegretario Mario Scelba, una trattativa che affidava agli Istituti il compito di raccogliere e custodire la documentazione del Movimento di liberazione, che ai sensi degli accordi di Roma del dicembre 1944, era documentazione di Stato.

L’Istituto nazionale e gl’Istituti suoi soci hanno dunque come funzione primaria un ruolo pubblico di conservatori di documenti, ruolo confermato e rafforzato con la legge di riconoscimento del 1967. Se i suoi lettori ne sono curiosi, possono accedere al sito
http://www.italia-liberazione.it/it/archivistici.php del nostro portale, e vedere quale puntuale, raffinata inventariazione sia stata fatta. Possiamo dire con certezza, per raffronti fatti anche in recentissimi convegni, che nessuna documentazione analoga nell’Europa occidentale è stata sistemata in maniera così soddisfacente.
Quanto all’ispirazione culturale che animava i fondatori, diremo solo che essi volevano che si facesse immediatamente la storia del passato recente. Ed è giusto ricordare che la storia contemporanea non aveva, nell’accademia italiana, alcuno statuto scientifico. La rivista dell’Istituto nazionale, “Il Movimento di liberazione in Italia” (ora “Italia contemporanea”) fu perciò il primo periodico italiano che si curasse di questo ambito con un serio ricorso alle fonti, e la libertà di accesso agli archivi della Resistenza, in tempi di stretta chiusura degli archivi pubblici, fece degli Istituti della Resistenza la palestra in cui si formò un’intera generazione di studiosi. Né questa pratica fu poi senza effetto nel determinare, a partire dagli anni Settanta, la politica più liberale di accesso alle fonti recenti, della quale tutti, storici e giornalisti, si sono di poi grandemente giovati.

L’Istituto nazionale è rimasto fedele a questa impostazione, e si è fatto carico di curare negli ultimi decenni, l’edizione sistematica (ed è la sola attività editoriale di cui assume in proprio la responsabilità) di un’imponente serie di documenti. In riferimento alla quale l’accusa di avere rimosso questo o quel personaggio è semplicemente risibile. La serie incominciò infatti con gli Atti del Corpo volontari della libertà, curati da Giorgio Rochat sulla base dei protocolli del Comando del generale Cadorna, ha incluso un volume di atti del Comitato di Liberazione nazionale Alta Italia del quale Pizzoni fu membro eminente, e comprende nell’ultimo volume apparso, dedicato al partigianato autonomo (due volumi debbono ancora uscire) carte di Cadorna, di Montezemolo, e in genere di tutti i dirigenti militari della Resistenza. Ricavati anche dall’archivio Cadorna di Pallanza, dove la famiglia del generale ci ha riservato cortesissima accoglienza.

La storiografia che viene poi attribuita all’Istituto ci lascia, più che colpiti, sorpresi. Gli studiosi che hanno voluto avanzare le proprie tesi sulla Resistenza, anche se legati all’Istituto da rapporti di responsabilità o di solidarietà, non hanno mai voluto farlo sotto l’egida dell’istituzione, ma lo hanno fatto a titolo personale. Così fece Guido Quazza nel suo Resistenza e storia d’Italia, così Claudio Pavone, con Una guerra civile. Il quale ultimo volume, dedicato alla “moralità” nella Resistenza, non si vede perché dovesse occuparsi di Cefalonia. Ma vogliamo ricordarlo perché, unica opera sulla Resistenza italiana tradotta in francese, è uno dei più importanti contributi al dibattito internazionale uscito dall’Italia in questi ultimi anni.

Fantasioso ci appare anche l’imputarci pregiudizi anti inglesi o antiamericani. Nella collana dell’Istituto è apparso anzi il primo e fondamentale saggio in lingua italiana (David W. Ellwood, L’alleato nemico) basato sulla documentazione angloamericana resa disponibile dal 1972 negli archivi americani e inglesi, e diversi Istituti hanno poi raccolto documentazione alleata di cui è stato pubblicato l’inventario. Mostre, collaborazioni scientifiche e convegni anche recentissimi, con studiosi tedeschi, inglesi e americani (La lunga liberazione, Torino, 2007) hanno nell’ultimo trentennio cementato rapporti di amicizia e di collaborazione.

Quanto alla vulgata tendenziosa di cui gl’Istituti della Resistenza sarebbero portatori, non solo non ci riguarda, ma ne abbiamo fatta una ricostruzione critica minuziosa, in una mostra pubblica fatta nel 2005 all’Arengario con l’appoggio del Comune di Milano (catalogo Skira). E ne abbiamo rintracciato le origini in quelle mostre elaborate a cura del Governo italiano tra il 1945 e il 1946, che dovevano muovere l’opinione europea, e soprattutto quella francese, a un più favorevole atteggiamento verso l’Italia e gl’Italiani. La posta in gioco era forse il trattato di pace di Parigi del 1947, ma anche e soprattutto la tutela morale delle centinaia di migliaia di emigrati che traversavano le Alpi per andare nelle campagne e nelle miniere a lavorare, in una situazione spesso insopportabile.

Sono passati sei decenni da quando quelle drammatiche esigenze sono cadute. I docenti che sviluppano attività didattiche presso gl’Istituti della Resistenza ne sono lontani. Della loro quotidiana, intensissima attività potremmo rendere ampio conto, ma ci basterà dire che annualmente il Ministero riceve un corposissimo rapporto, che comprende l’indicazione analitica del lavoro di ciascuno. Del significato complessivo ci basterà dire che il loro lavoro ha fatto dell’Istituto nazionale e degli Istituti soci il riferimento (che constatiamo dalle statistiche di accesso ai siti) ricercato spontaneamente da tutti coloro che svolgono attività didattiche sulla storia contemporanea italiana. Questa libera fruizione vede migliaia di utenti rivolgersi a noi in riferimento all’educazione alla cittadinanza (titolo complessivo del nostro attuale progetto didattico) e in occasione dei giorni del “ricordo” e della “memoria”. In queste occasioni specialmente rappresentanti delle comunità ebraiche e dei profughi istriani partecipano numerosi alle nostre iniziative e si riconoscono nelle nostre pubblicazioni.

Lasciamo deliberatamente per ultimo il riferimento, più redazionale che di Ugo Finetti, alla presidenza di Oscar Luigi Scàlfaro. Del quale tesseremo il più sobrio e il più meritato degli elogi dicendo che auguriamo a qualsiasi istituto di cultura di avere alla propria guida un così scrupoloso difensore dell’autonomia intellettuale e politica del personale tecnico e scientifico. Assiduo nel sostenerci in occasioni pubbliche e private, legato a tutti i collaboratori da una solidarietà che spesso ha preso carattere di amicizia, egli non ha mai interferito in nessun modo con le nostre scelte culturali.

Vorremmo dunque concludere questa troppo lunga lettera con un invito, né ironico né irriverente, alla nuova responsabile del Ministero. Venga a trovarci a Milano, dove siamo una delle poche istituzioni a carattere nazionale, e avrà motivo di soddisfazione, perché crediamo che tutti i docenti attivi presso gl’Istituti nostri soci diano prova di un buon uso delle risorse pubbliche, e che pochi istituti abbiano fatto e facciano tanto con tanto poco.

Claudio Dellavalle
Vicepresidente dell’Istituto nazionale per la storia del Movimento di liberazione in Italia
Gianni Perona
Direttore scientifico dell’Istituto

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